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Mi affaccio alla porta della classe e...

23.10.2013 17:59

Mi affaccio alla porta della classe. Lo vedo seduto, in mezzo agli altri bambini con il suo bel grembiulino mentre attende il mio arrivo con ansia. Mi vede, mi sorride. Mi corre incontro. Tutto sembra perfetto quando…una voce:“ Non si comporta molto bene…”

Chi? Il mio bambino perfetto? Lui??? Mi guardo intorno per vedere se quella voce è diretta proprio verso di noi. Ci osserva.

“Continua anche a picchiare gli altri bambini e non ascolta…”

Lo guardo. Il suo sguardo colpevole mi fa capire che quelle parole sono vere e che si….sono proprio dirette a noi.

Io lo guardo. Lui abbassa lo sguardo come a dire: “Si lo so mamma….”

Poi la voce aggiunge: “Ma lui è un bambino bravissimo, dolcissimo…solo si vede che è tanto arrabbiato”

Ora la distruzione è completa.

Ma come? Io, mamma, insegnante, che cerco sempre di vedere e fare il meglio per il mio bambino, che passo le notti su internet a cercare soluzioni a qualsiasi cosa possa accadere, che cerco di occuparmi di loro in tutto per tutto, proprio a me accade questo? Il MIO MERAVIGLIOSO BAMBINO??? Proprio lui??

Finisco di parlare con la voce, lo vesto e usciamo….camminiamo per mano, verso la macchina. Entrambi silenziosi. Lui combatte con i suoi sensi di colpa ed io con i miei. Dove avrò sbagliato? Ho sbagliato? Non è possibile che proprio mio figlio si comporti così. E poi lo guardo.

Questa volta però faccio lo sforzo di non lasciarmi coinvolgere dai miei sensi di colpa e provo a guardarlo per intero. E’ arrabbiato, lo so. E’ arrabbiato con mamma per una sorellina arrivata quando lui proprio non voleva. E’arrabbiato con lei per le attenzioni che inevitabilmente ha portato via. E’arrabbiato perché questo asilo, seppur lui adori andarci, proprio non lo digerisce. Ma se ci sono i nonni che senso ha andarci?

Rifletto. Perché non mio figlio? Perché dev’essere proprio tutto così come io nella mia testa avevo programmato? E perché ancora, non posso accettare che lui abbia il suo carattere, i suoi pregi ed i suoi difetti come tutti?

Ed ecco che la nebbia si dissolve. Lo carico sul seggiolino. Lui mi guarda e mi dice: “Mamma sei arrabbiata?” Io lo guardo e gli dico che no, non sono arrabbiata. Che non mi piacciono certi comportamenti ma che mi piacerebbe capire insieme a lui perché è arrabbiato. Lui mi guarda più sereno. Mi chiede scusa. Salgo in macchina felice di me e dei miei pensieri, convinta che adesso tutto sarà diverso e meraviglioso. Appena entrati in casa mi dice:” Dov’è B.?” Lo guardo e penso che ecco…sta per esprimere il suo amore per la sorellina. La vede. Le sorride. La spinge.

Ci risiamo.

Vita da mamme.

/T

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Quei baci sulla bocca...

23.10.2013 17:52

Commento all'articolo:
https://27esimaora.corriere.it/articolo/che-impressione-i-genitori-che-baciano-sulla-bocca-i-figli/

 

 

Parlo da mamma di un bimbo di due anni e di uno in pancia.

Parlo da psicoterapeuta.

Parlo da spettatrice, per questioni di lavoro e di vita.

 

A lasciarmi perplessa è stato questo documento. Perchè va bene guardare il mondo con occhio critico, ma “ci sono anche dei limiti”...

 

Credo fermamente che l'esperienza della genitorialità, come tutte le esperienze di vita che portano profondi cambiamenti nel sistema che ci circonda e nel nostro mondo interno, porti con sé una ridefinizione della scala di valori con cui ci approcciamo agli altri ed al mondo. Non mi riferisco alle “manie sconcertanti” (quali sono poi? Parliamo di patologia forse?!) né all'insensibilità di chi -ancora o per scelta o per forza- genitore non lo è. Credo però che, per una donna, ad esempio, l'aver custodito nel proprio grembo il miracolo di una vita nuova, aver fatto rinunce e scelte nell'attesa, averla partorita (in qualsiasi modo sia avvenuto, non ne esiste uno più dignitoso di un altro) e magari nutrita al proprio seno, comporti obbligatoriamente una consapevolezza di sé e delle relazioni che nient'altro potrà pareggiare. Per fortuna o purtroppo...

 

Credo, come ho ritrovato in altri commenti, che l'Amore che proviamo per i nostri figli, sia un sentimento tanto profondo, radicato in noi, che difficilmente può essere espresso in parole, se non dai Grandi Poeti, o espresso su tela o attraverso la musica. Perchè è un Amore che fa vibrare corde che nessun altro ha mai e potrà mai far vibrare. Nessuno, nemmeno il Compagno che abbiamo scelto pronunciando -credendoci ogni giorno- un “per sempre”.

 

Quindi forse nessun genitore potrà qui spiegare il perchè scientifico di quei baci sulle labbra o di quei “Ti amo”.

 

Possiamo -perchè ci sono anch'io, sì- dire però che il bacio sulle labbra è un gesto di tenerezza infinita, certo su una zona erogena, certo a rischio di passaggio batteri, … Ma che va oltre tutto questo. E' incontro, morbidezza, odore, sapore...così come lo è allattare al seno, affondare il naso sul collo, … Sono gesti che ritroviamo negli amanti ma che non appartengono agi amanti, perchè sono, in modo intrinseco, diversi e differenti.

Differenti perchè portano con sé un'altra storia, altri personaggi: nostro figlio è carne della nostra carne, deriva dal nostro amore, nel nostro amore è sbocciato e fiorito. Non l'ho scelto come si sceglie un amante, non porta con sé paure ed interrogativi ed aspettative proprie di un adulto e di un adulto in relazione con me, ne ha di sue proprie, completamente diverse, che niente hanno a che vedere col sostegno, la comprensione, la completezza che cerco nel mio Compagno.

E sono gesti diversi, perchè vanno in un'altra direzione: nel rapporto di coppia si cresce alla pari, tra genitore e figlio le prospettive, gli orizzonti non sono gli stessi. Io, riprendendo un grande Autore, non sono che l'arco che scocca la freccia. Non sono l'arciere e non sono, soprattutto, il bersaglio. Io ci sono ora, fisicamente, meglio che posso, perchè lui/lei possa portarmi dentro di sé, per tutto il tempo in cui non ci sarò, quando avrà un suo compagno ed obiettivi nuovi.

 

Io ho scelto di esserci con tenerezza. Di esserci con abbracci stretti, con baci sulle labbra, con i “Ti voglio bene” ed i “Ti amo”, con sorrisi a distanza, con mani che accolgono e lasciano andare, con i baci che guariscono ogni male. Le mie mani sono mani che curano, la mia bocca è mezzo d'amore, di storie raccontate, di cose spiegate, di limiti dati.

 

Nel mio Compagno trovo ciò di cui ho bisogno come Donna.

Nè certezze, né bisogni che lui non soddisfa posso trovarli nei miei figli.

E non credo che chi bacia sulle labbra (sulle labbra, non in bocca...siamo precisi) o dice “ti amo” ai propri figli, sia necessariamente un insicuro, un insoddisfatto, una persona che non ha chiari limiti, confini, distinzioni. Ho trovato molto più dolore e confusione in figli non trattati così.

 

Non giudichiamo gli estremi: ho seguito piccoli pazienti traumatizzati dal dormire coi genitori troppo a lungo. Ma quanto è “troppo a lungo”? Vogliamo forse dire che la condivisione del lettone è patogena?! Arriveremo anche a dire che allattare in pubblico è scandaloso per chi guarda e patogeno per chi succhia...o che portare i bimbi in fascia sia contrario alla formazione dell'autonomia e di un senso di Sè distinto...

 

Forse uno sculaccione, uno schiaffo, un castigo, la derisione non avrebbero maggior diritto a far scattare in noi “un brivido freddo che corre lungo tutta la schiena”?

Ci sconvolge la violenza, l'indifferenza, la crudeltà che pervade il mondo, spesso anche i nostri giovani...ma io Madre, io Padre, ho il diritto di picchiare mio figlio, di ignorare le sue richieste, di umiliarlo...

 

 

Osservatori carissimi, non basti uno sguardo veloce per farci apporre etichette e dispensar giudizi. Fermiamoci, facciamo domande, cerchiamo di capire quale strada ha portato l'altro sin lì. Non tutto sarà comprensibile, né tanto meno giustificabile, ma saranno molti meno gli articoli scandalizzati che riempiranno le pagine dei giornali.

 

/C

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Alle mamme ed ai papà...assonnati.

08.02.2013 00:00

Ai miei figli

 

Dove il fiume della vostra vita scorre

Lungo le sponde delle vostre verdi ore

Ho vegliato in silenzio

Come un albero che guarda sbocciare a primavera i suoi fiori.

 

Se tutto il resto può sembrare bugia

A me è stata concessa la magia

Di osservare rispecchiati in limpide acque

Sorgere soli

E lune cullarsi nel mistero dei vostri giovani occhi

F. Bhownagary

 

 

Alle mamme ed ai papà.

Ai loro bimbi.

Chi vi scrive è una mamma. Che è anche psicoterapeuta. E che, pensate un po’, è anche una donna in cammino, che cresce, che torna indietro, che fa cose e le disfa, che si pone mille interrogativi…

Ieri sera l’Associazione Palaver ha organizzato una serata sull’educazione dei bimbi: io ho ascoltato, parlato, cercato di spiegare e di comprendere. Ho sentito diverse onde andare e venire: la sorpresa, l’attesa, il timore di sbagliare, l’entusiasmo della condivisione, la fatica di essere genitore.

Come professionista ho accolto quanto ognuno ha portato, ho cercato accompagnare il gruppo nella costruzione di significati condivisi e nuovi e di nuove soluzioni. Ho raccontato, in parole spero comprensibili, il punto di vista di diversi Autori, dando più spazio a chi stimo di più (per formazione e stile, ma anche per sintonia con me, la mia formazione, il mio stile, la mia vita).

E poi…e poi c’era la me-mamma che, finito l’incontro, mi ha guardata dritto in faccia e mi ha chiesto “Perché??”. Vi racconto…

Il mio bimbo ha 14 mesi ed è stato, da subito, tra le tante cose, un dormiglione. Quindi, non avendo vissuto sulla nostra pelle l’estrema stanchezza legata alle notti in bianco, per mio marito e me è stato faticoso sopportare anche solo un paio di risvegli per notte o i pianti perché non voleva addormentarsi. Lui ha sempre dormito nel suo lettino, per la scelta nostra di riacquistare la nostra intimità e perché, una volta addormentato, era beato nello spazio ristretto della culla costruita dal nonno. A due mesi abbiamo spostato il lettino dalla nostra stanza alla sua cameretta. Nessun risveglio in più, nessuna resistenza aggiunta: nessun problema. Il piccolo si prendeva tutte le nostre coccole durante il giorno (abbiamo usato molto la fascia, lo abbiamo tenuto molto in braccio, abbiamo cercato di condividere –come potevamo- molto) e la notte dormiva più o meno tranquillo. I mesi sono passati, io ho ripreso il mio lavoro (poche ore la settimana, per scelta mia e di mio marito: sino all’anno, almeno, lo avremmo accudito prevalentemente noi, con tanti sacrifici, ma senza nido e con qualche nonno o zio ogni tanto), lui è cresciuto, ha iniziato ad interessarsi al mondo e ad esplorarlo…ed è arrivata la difficoltà ad addormentarsi. Dopo qualche tentativo fallito, rispolveriamo un libro che avevamo letto in gravidanza “Fate la nanna” di Estevill. Leggiamo. Ci guardiamo. Proviamo. Quanto è durato questo esperimento? Nemmeno un’ora. Quando il piccolo, realizzato che era nel suo lettino per dormire, ha iniziato a piangere, via via più disperato, io, col cuore trafitto, sono andata da lui, l’ho preso in braccio e l’ho consolato. E si è addormentato tra le mie braccia.

Da quella sera, la maggior parte delle volte, si addormenta accoccolato sul mio petto o su quello del papà, mentre gli leggiamo una fiaba o gli raccontiamo la giornata trascorsa (abbiamo in mente che possa aiutarlo nel comprendere il senso del tempo e a sentirsi coinvolto, parte della famiglia anche quando la famiglia non la vede tutta riunita). Ma ci sono le volte in cui ci prende per mano e vuole essere messo a nanna, o che crolla sul fasciatoio o sul tappetone in mezzo ai giochi o nel lettone. E siamo tutti più sereni…

Ecco qui.

Il “Perché??” della me-mamma si riferiva a questo: perché non ho raccontato, a quei genitori preoccupati o dubbiosi o anche convinti delle loro scelte, la nostra esperienza?

Credo fermamente ora, dopo una notte passata a ripensare a tutto questo, che sarebbe stato importante dirvi questo: godetevi ogni istante, non credete a chi vi dice che le coccole portano vizi, che se il piccolo sta in braccio non sarà interessato al mondo, non cedete a chi vi dice “piangere rinforza i polmoni, insegna l’autonomia e l’indipendenza, sono solo capricci…”. Non credetegli. Non privatevi della meraviglia delle coccole. Farlo piangere da solo nel suo lettino gli insegnerà soltanto che quando ha bisogno deve cavarsela da sé, senza il contenimento di mamma e papà, che chiedere aiuto non serve, perché tanto non arriverà nessuno. La tecnica dei minuti di attesa che via via aumentano porta a interrompere il pianto perché è esausto o, peggio, rassegnato. Se c’è la stanchezza di un allattamento che si è tramutato in ciuccio per la nanna, ci sono altre strategie… Se siamo stanchi, la giornata è stata pessima e lui, perdipiù, piange, respiriamo, diciamogli che comprendiamo la rabbia-stanchezza-noia-tristezza, ma, passato il tempo necessario per finire quello che stiamo facendo, saremo lì solo per lui (e lo saremo davvero, perché le promesse si mantengono…ma questa sarà un’altra lettera ;) ).

La sofferenza, il dolore, sono sani, fanno parte della vita, vanno vissuti, affrontati, superati, ma tutto questo crolla se a infliggerli siamo noi, gratuitamente, per adeguarci ad un metodo che abbiamo letto o che ci hanno suggerito. Ascoltatevi dentro. Ascoltate il vostro bambino. Ci sono strade bellissime, modi migliori di imparare che si è distinti, che ce la si può fare anche da soli… C’è il VOSTRO modo. Vivete appieno ogni emozione, state insieme… L’adolescenza, i fatti della vita, i mille impegni, sono dietro l’angolo, pronti a costringerci a stare a distanza. Facciamoci trovare abbracciati.

 

Cristina

(finalmente intera)

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